LA PREMIER TORNA NELLA MANCHESTER AZZURRA DOPO 44 ANNI
Sarà
ricordata a lungo, probabilmente per sempre, una stagione calcistica come
quella che si è appena conclusa in Gran Bretagna. Andando a memoria, mi viene
in mente soltanto il titolo del Bayern Monaco del 1999-2000 come paragonabile
per dinamica di conquista nella storia recente del calcio europeo. Sui tabloid
anglosassoni la parola che si legge di più credo che sia “crazy” ma rende solo in parte un’idea di quanto sia realmente
successo. Il Manchester City vince il titolo al 94’ dell’ultima di campionato,
dopo essersi trovato sotto di un gol allo scoccare del 90’. Un finale da
brivido in una stagione stranissima, vinta e persa più volte da parte di
entrambe le squadre di Manchester.
Al
terzo tentativo dunque, Roberto Mancini vince la Premier League, ma i meriti
del tecnico jesino sono assai inferiori a quelli che prova a dipingere la
stampa nostrana. Non soltanto per il valore stratosferico della rosa che aveva
a disposizione in rapporto a quella delle concorrenti, ma anche per la modesta
qualità di gioco che la sua squadra è riuscita ad esprimere.
L’impressione
che si è avuta, anche leggendo la stampa d’oltremanica, è che la carrozza sia
sempre stata in mano ai cavalli e non al cocchiere. Dopo una campagna acquisti
faraonica, il Manchester City è partito subito forte sulle ali dell’entusiasmo.
A inizio stagione la squadra del Mancio vive di sicuro il suo momento migliore,
vince spesso e segna tantissimo: 11 vittorie nelle prime 12 partite, con 42 gol fatti e 11 subiti. Nelle successive
undici le ruote scricchiolano: due pareggi, tre sconfitte, sei vittorie ma di
queste sei ce ne sono tre con un solo gol di scarto. Alla 28ª giornata arriva
il sorpasso da parte dello United. Il City emotivamente crolla e raccoglie due
punti in tre partite: i Red Devils volano a +8. Lo stesso Mancini ammette che
la Premier ormai è persa. Si rivelerà essere la miglior scelta tattica
dell’allenatore: anche lo United si convince di averlo vinto, ma non è così. Il
Wigan ferma la squadra di Sir Alex e il City cambia marcia, ingranando sei
vittorie nelle ultime sei partite di campionato, mentre il Manchester United
perde altri punti pesantissimi contro l’Everton oltre allo scontro diretto del
derby.
Mancini
non ha mai dimostrato di avere due doti fondamentali ad alti livelli:
convinzione nelle proprie scelte e capacità di trascinare emotivamente il
gruppo.
Le
formazioni proposte dal tecnico hanno sempre subito numerose variazioni, in
tutti i reparti. Oggi Zabaleta, domani Kolo Tourè in difesa. Oggi Kolarov
domani Clichy in fascia. Oggi Milner e Barry, domani Barry e Adam Johnson, a
centrocampo. Silva titolare e Nasri dalla panchina o viceversa? E perché non
assieme? Dzeko e Aguero potevano fare novanta minuti in una partita e cinque in
quella successiva. Pochi i punti fissi: ovviamente Hart in porta, Lescott e
Kompany in difesa, Yaya Tourè a centrocampo.
Ma
soprattutto, il pasticcio più grande l’ha fatto con Carlos Tevez. Fuori rosa,
poi oggetto del mercato, poi non è più sul mercato, poi reintegrato e alla fine
titolare. Possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma dalla “Tevez-novela”
Mancini ne esce ampiamente sconfitto. Perché alla fine l’ha avuta vinta il
giocatore e perché alla fine per vincere il titolo l’Apache è stato fondamentale.
Quando Balotelli (altra scommessa persa dell’allenatore) è stato squalificato,
ha aperto le porte da titolare a Tevez e non è un caso che le sei vittorie
consecutive siano arrivate proprio dopo l’espulsione dell’attaccante italiano.
Il
City ha indubbiamente alcuni tratti caratteristici che gli derivano
dall’allenatore. La fase difensiva è ottima e i numeri parlano chiaro: 29 gol
subiti in 38 partite sono pochi. L’Arsenal, per dare un’idea, ne ha subiti 49
ed è la squadra terza in classifica. Per quanto riguarda la fase offensiva
sicuramente ci si poteva aspettare di più. Nei primi mesi la squadra era
semplice ed efficace, ma di bel gioco non se n’è visto molto, soprattutto da
dicembre in avanti. Si è sempre andati avanti a sperare in una giocata di un
singolo, che quasi sempre è arrivata e quasi sempre ha fatto vincere le
partite. La stampa non ha mai fatto mistero di non apprezzare questo tipo di
approccio, soprattutto in rapporto alla qualità dei giocatori a disposizione.
La
precoce uscita di scena del City dalle coppe europee non ha agevolato il
tecnico nella sua conquista della stima da parte degli inglesi. Tuttavia, la
Premier appena vinta servirà a fargli guadagnare una credibilità che non è ai
vertici delle graduatorie come invece lo è la sua squadra.
E’
il successo di una squadra senza ieri e con un domani incerto. Le valanghe di
acquisti fatti in questi anni sono serviti ad arrivare ad oggi, ma non è ben
chiaro chi possa pensare di rimanere, perché l’ambizione è quella della
Champions League, ma la rosa – la più forte d’Inghilterra – non è ancora la più
forte d’Europa. Conoscendo la profondità di risorse della proprietà ci sono da
aspettarsi numerosi movimenti importanti in estate, in uscita e in entrata.
Anche perché quasi nessuno dei giocatori si sente “quella maglia addosso”. Di
tutta la rosa della prima squadra, soltanto Micah Richards è cresciuto nelle
giovanili del City. Oltre a lui, soltanto Joe Hart era presente nella squadra
al momento dell’acquisto della società da parte dello sceicco Mansour nel 2008.
Tutti gli altri sono arrivati da poco e tantissimi altri, arrivati assieme a
loro, sono già andati via. Gli spogliatoi hanno sempre ospitato giocatori con
gli scarpini in una mano e la valigia nell’altra: 1200 milioni di euro sono stati
sperperati dalla proprietà per questo titolo.
Restano
sicuramente i fatti: il City ha battuto due volte su due lo United in
campionato e ha vinto una delle Premier League più belle e avvincenti di tutti
i tempi.
Di sicuro ha portato una ventata di novità nell’albo d’oro della
competizione. Anche se è una ventata che ha l’odore del petrolio e dei suoi
dollari, più che del sudore.Valerio Brutti
Nessun commento:
Posta un commento