DA CURI NEL '77 A MUAMBA LO SCORSO WEEK-END. UN ALTRO CASO DI ARRESTO CARDIACO IN CAMPO
Le immagini di Fabrice Muamba disteso a terra avranno
ricordato a molti i tristi epiloghi delle più recenti morti improvvise sul
campo: Antonio Puerta su tutti, anche perché giocava nella Liga e aveva più
visibilità di altri suoi colleghi accomunati dalla stessa fine. Solo
negli ultimi 10 anni se ne ricordano altre: Marc Vivien Foè nel 2003, Miklos
Feher e Serginho (omonimo dell’esterno milanista) nel 2004, Phil O’Donnell nel
2007.
Fortunatamente si tratta solo di pochissimi casi, se si pensa
al numero di giocatori ogni settimana coinvolti in gare giovanili e
professionistiche. Tuttavia pensare che un atleta possa perdere la propria vita
giocando lascia sempre sgomenti.
Non è ancora chiaro cosa sia occorso al centrocampista del
Bolton, o meglio ne sono noti gli effetti (arresto cardiaco), ma non le cause.
Qualche ora fa il suo cuore ha ripreso a battere autonomamente, ma
l’interruzione del battito cardiaco ha lasciato il suo cervello senza sangue (e
quindi ossigeno) per sette minuti, un tempo lunghissimo, che molto
difficilmente gli permetterà di tornare ad avere una vita normale.
La morte improvvisa è di per sé un eventualità rara, che
colpisce 50-60 mila persone all’anno in Italia (meno del 10% delle morti). In
questo già ristretto numero, il decesso è collegata allo sport
soltanto nell’1-2% dei casi.
Viene definita come morte improvvisa quell’eventualità che
occorre in maniera imprevedibile e in circostanze non atte di per loro a
provocare la morte di un soggetto. Anche la morte improvvisa da sport necessita
di queste particolarità per definirsi tale, con l’aggiunta che l’evento fatale
debba avvenire durante lo sforzo fisico o entro un’ora dal termine
dell’attività.
Probabilmente qualcuno ricorderà anche la morte di Daniel
Jarque, morto nell’agosto 2009, la cui morte tuttavia non rappresenta una conseguenza dello sforzo atletico, in quanto avvenuta a ore di distanza dall’attività fisica.
E’ importante sottolineare che l’attività fisica, anche se
intensa, non può provocare di per sé la morte di un atleta: è sempre necessario
che ci sia una patologia per portare il soggetto al decesso.
In altre parole un cuore sano non può morire a causa
dell’attività sportiva. Un cuore con qualche malformazione invece può portare a
morte improvvisa in qualunque momento, soprattutto durante lo sforzo.
In Italia la morte improvvisa da sport è un evento molto
raro, soprattutto grazie al numero di controlli eseguiti (la visita medica
obbligatoria per tutti gli atleti di tutti gli sport), alla loro specificità
(prevede valutazioni funzionali polmonari, elettrocardiogrammi a riposo e sotto
sforzo) e alla loro frequenza (la durata annuale).
Pochi sanno che il nostro è l’unico paese al mondo a
prevedere come obbligatori questi controlli, perlomeno a prevederli così
approfonditi. E sono presenti sin dalla categoria pulcini per il calcio.
La
capacità di diagnosticare problematiche che possono controindicare lo sport in
età giovanile permette di prevenire un gran numero di morti improvvise da
sport. Il fatto di conservare le visite mediche di ogni anno consente ai centri
di medicina sportiva di monitorare l’evoluzione dei vari casi e di verificare
l’insorgenza di determinate patologie.
Dopo la morte sul campo di Renato Curi, nel 1977 durante un Perugia-Juventus, la legislazione italiana si è adoperata per prevenire nuovi casi simili. Dal 1981 è obbligatoria la visita medica agonistica a tutte le età per tutti gli sport. Probabilmente la morte di Curi ha salvato la vita a numerosi atleti che negli anni successivi hanno scoperto di avere una
malformazione cardiaca durante la visita medica.
In Europa non si è ancora arrivati a questo punto. Nemmeno
nei campionati professionistici. In Inghilterra è obbligatoria un ambulanza sul
campo delle partite con un’unità di defibrillatori soltanto dopo il grave
infortunio di Peter Cech. La sopravvivenza di Muamba è sicuramente dovuta a
questa nuova norma, perché è grazie ai defibrillatori che è riuscito a resistere
fino all’ospedale. Ma se fossero stati obbligatori dei controlli più
approfonditi, probabilmente non si sarebbe trovato in campo a rischiare la
vita.
La condizione patologica che portò alla morte Antonio Puerta
fu una malattia relativamente facile da diagnosticare in Italia: la
cardiomiopatia ventricolare destra aritmogena, ovvero la progressiva
sostituzione di tessuto muscolare cardiaco con materiale fibroso e adiposo, che
quindi non riesce più a contrarsi (solo il tessuto muscolare può contrarsi) e
genera un’aritmia che può essere letale.
Anche le condizione di Miklos Feher e Marc Vivien Foè (cardimiopatia
ipertrofica) erano riscontrabile da semplici esami diagnostici.
Non è un caso che alcuni atleti provenienti dall’estero sono
stati fermati alla visita medica in Italia. I casi più famosi sono quelli che
riguardano la serie A: Nwankwo Kanu e Khalilou Fadiga, curiosamente entrambi
acquistati dall’Inter. Per entrambi si trattò di una fortuna, perché scoprirono
di avere malformazioni genetiche e furono sottoposti a intervento chirurgico.
Dopo l’operazione al cuore (insufficienza aortica), Kanu fu perfettamente in
grado di giocare a livelli agonistici e ha avuto una carriera lunga e senza
problemi (ha giocato nell’Arsenal per molti anni e attualmente milita in
Premiership nel Portsmouth). Fadiga invece dopo l’installazione del pacemaker (aveva
un’aritmia) non superò la visita medica sportiva agonistica e non fu mai
tesserato dall’Inter. Gli fu sconsigliato di continuare a giocare, fu informato
dei rischi che correva, ma scelse di continuare a giocare e trovò una società
disposta a tesserare un giocatore pur conoscendone la condizione di salute.
Il caso di Fabrice Muamba giunge quindi come un altro,
ennesimo, campanello d’allarme nel mondo del calcio. La necessità di imporre
controlli obbligatori deve essere all’ordine del giorno sulle scrivanie della
Premier League come di ogni altro campionato europeo e mondiale.
Probabilmente il servizio sanitario in alcuni stati
asiatici, africani e americani non è così sviluppato e ricco da poter
permettere a tutte le età la visita medica agonistica. Ma se in Italia fu
“necessaria” la morte di Renato Curi per introdurre la visita medica
obbligatoria, è proprio necessaria un’altra morte per renderla obbligatoria
anche in Europa?
Valerio Brutti
QUESTI RAGAZZI DI SCIENZE MOTORIE DELLA CATTOLICA NE SANNO UNA PIù DEL DIAVOLO!ESTENDEREI COMUNQUE L'OBBLIGO DI VISITA MEDICA SOTTOSFORZO ANCHE NEI COMITATI UISP E CSI PERCHè ANCHE LI PER VINCERE SI Và INCONTRO A SFORZI MASSIMALI..PURTROPPO IN QUEI CONTESTI BASTANO 4 RIGHE DA PARTE DEL MEDICO DI BASE per giocare ...PREVENIRE MEGLIO CHE PIANGERE..
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