Shine bright like a diamond. Trovereste un pezzo migliore per
descrivere la carriera di Alessandro
Diamanti? Non credo: l’analogia tra il cognome del giocatore e il titolo della
celebre canzone di Rihanna, oltretutto, la rende ancor più perfetta.
La storia
travagliata di Alino, in effetti,
ricorda un po’ quella di un diamante
grezzo: al principio, apparentemente, un ciottolo qualsiasi, che nessuno
degnerebbe di uno sguardo. E che per svelare tutto il suo valore, necessita
dell’abilità di un tagliatore capace di renderlo perfetto.
Il ciottolo Diamanti viene raccolto 14 anni fa a Prato, sua città natale, nella quale
comincia a muovere i primi passi a livello professionistico. L’opera di
lavorazione inizia con le stagioni spese in prestito tra Florentia Viola e Fucecchio
per poi continuare con il ritorno a casa,
dove Alessandro inizia a giocare con più continuità. Nel 2004 Diamanti passa,
in comproprietà per due stagioni, nelle mani dell’Albinoleffe, senza lasciare segni tangibili del suo valore: torna
nuovamente a Prato, città che finirà per essere il suo trampolino di lancio
addirittura verso la serie A. In una stagione da 36 presenze e 14 reti viene
notato da Fabio Galante e suggerito,
proprio dal difensore ex Inter, al Livorno.
La Toscana,
terra d’origine per quanto concerne la lavorazione dei diamanti, non può che
essere il luogo adatto per cominciare definitivamente a splendere: dopo Prato, Alino ha un’occasione ancor più ghiotta
da non perdere e, nonostante la retrocessione in B, diventa il leader dei
labronici, riportando Tavano e compagni in A la stagione successiva.
Qualcuno
però, da Londra, se ne innamora: Gianfranco Zola. Impossibile rifiutare. L’allora allenatore del West Ham riesce
a strappare Diamanti al Livorno: 7 gol in Premier in una stagione, ma la
nostalgia dell’Italia è troppa. L’estate successiva viene riportato in Serie A
dal Brescia neopromosso: con le
rondinelle incanta, guadagna la prima convocazione in nazionale e segna gol
stupendi, come l’esterno sinistro vincente nell’1-1 casalingo contro la Juve. Come
già accaduto nella prima stagione a Livorno, tuttavia, un Diamanti non è
sufficiente per far splendere un’intera squadra: il club del presidente Corioni retrocede e a fine stagione il
numero 23 viene acquistato in comproprietà dal Bologna.
Sotto le due
Torri, Diamanti trova la sua consacrazione e il suo splendore definitivo: con Ramírez e Di Vaio forma un tridente devastante, conducendo i felsinei ad una
salvezza senza affanni a quota 51 punti e rientrando stabilmente nel giro della
nazionale italiana, prendendo parte alla spedizione azzurra di Euro 2012. A
fine stagione, tuttavia, il magico trio si scompone: Di Vaio tenta l’avventura
in Canada, mentre Ramírez viene ceduto al Southampton. Diamanti, invece, riscattato a titolo definitivo e
affiancato a Gilardino. Grazie alla cessione di Portanova, diventa capitano
del Bologna: la fascia, tuttavia, non sembra pesargli affatto.
Perché Alino è fatto così. Leader nato, genio (soprattutto)
e sregolatezza: diamante ormai sgrezzato grazie alla bella intuizione di Galante e all’ottimo lavoro di Pioli, ma soprattutto liberatosi
autonomamente di quella materia superflua che nascondeva un talento (o
diamante, se preferite) cristallino. Mancino magico (probabilmente il migliore
in Italia) e tecnica invidiabile condita da una voglia di lottare e svariare
per il campo che non manca mai: l’interesse di club come Inter, Juve e Zenit è ormai cosa nota. Ma ad uno come
lui, concentrato sul presente e abituato a stare con i piedi per terra, le voci
di mercato non interessano: “Non penso al
futuro. Penso a correre per il Bologna”.
E a
sostituire al meglio l’eredità lasciata dal suo grande amico Di Vaio. Prima,
chissà, di essere messo all’asta: le pretendenti ci sono, il valore è
indiscusso. A meno che lo stesso Alino non decida di dichiararsi
romanticamente, alla Curva Bulgarelli.
Con un classico: “Un Diamanti è per sempre”.
Simone
Nobilini
(@SimoNobilini
on Twitter)
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